di Alessandro Vicenzi

#6 - GONGORO!

 

La notte africana era calda e silenziosa. La foresta pareva essersi addormentata, stanca dopo una giornata estenuante. I tamburi dei villaggi tacevano, come le belve feroci e gli uccelli variopinti.

Sotto gli alberi, l'oscurità era quasi assoluta. Le creature che si muovono nella notte non hanno bisogno della luce, e non fanno alcun rumore. Solo l'uomo contravviene a queste leggi. Così, l'incanto del silenzio era rotto dai passi e dal respiro affannato di un europeo che si trascinava per un sentiero poco battuto, guardandosi continuamente alle spalle. Aveva i vestiti laceri e sporchi, e alcune ferite fresche sul petto e sulle braccia. Non sembrava essere avvezzo alla vita all'aperto, e si muoveva parecchio goffamente. Nella mano destra stringeva un pesante coltello dalla lama lunga, di cui si serviva di tanto in tanto per liberare la strada davanti a sé. Il suo passo era svelto, ma non correva, forse per paura di produrre troppo rumore.

Tutto inutile.

Sentì dal nulla un braccio secco ma muscoloso stringersi attorno al suo collo e venne sbalzato dal sentiero fin dentro al sotto bosco. Il suo assalitore lo gettò a terra e gli puntò un pugnale alla gola prima ancora che lui potesse reagire.

"Chi sei? Perché vaghi di notte per la foresta facendo un rumore simile?"

La voce era fredda ma infuriata, e anche se era poco più che un sussurro era in grado di incutere rispetto e timore nell'ascoltatore. Apparteneva ad un uomo dal volto severo e scavato, i cui occhi freddi e implacabili lo stavano fissando, cercando - così sembrava - di scrutare fino a dentro la sua anima, pur nella scarsa luce della notte.

L'uomo deglutì, sentendo la lama particolarmente vicina alla gola, poi con un filo di voce tremante disse:

"Mi chiamo Sidney, signore. Sto fuggendo dal demonio, per questo ho causato tanto rumore"

Lo sguardo del suo assalitore si indurì ancora di più:

"Non nominare quel nome in questo continente maledetto, sciocco! Mi sembri sincero e spaventato, alzati, ma non fare rumore. Il mio nome è Solomon Kane, e sono inglese, come te. Ringrazia il Cielo che hai svegliato me e non qualcosa di peggio. Il mio campo è a pochi minuti da qui, cammina piano e non fiatare fino a che non te lo dirò io."

Camminarono per qualche minuto lungo sentieri invisibili se non per l'occhio allenato del Puritano, fino a giungere ai piedi di una roccia alta una decina di metri. Lì si fermarono. Kane, agile come un gatto, si arrampicò fino a un'apertura a tre metri circa di altezza, e svanì al suo interno. Un istante dopo, srotolò giù una grezza corda di canapa, facendo cenno a Sidney di usarla per arrampicarsi.

 

Il rifugio di Kane era tutto fuorché confortevole: una piccola grotta, facilmente difendibile e che godeva di una buona vista sulla foresta circostante. Il pavimento era di roccia grezza, e non c'erano materassi o giacigli di alcun tipo. Lo spadaccino offrì al suo ospite appena un poco d'acqua e qualche frutto, poi gli chiese di spiegargli che cosa lo avesse portato fino a lì, e perché apparisse così spaventato.  
Sidney rispose lentamente, quasi sussurrando le parole, come se scottassero
"Sono un cercatore di diamanti. Avevo assoldato alcune guide, degli altri europei, perché mi portassero in questa zona, dove avevano sentito dire ci fosse una grande miniera, quella dei Kachoonga"

Kane annuì: aveva sentito parlare di quel posto, e di quella tribù. Anni prima, lo stregone dei Kachoonga, Matumbo, si era recato in visita da M'Longa, portando vari doni.

"Una volta raggiunta la tribù, ho provato a parlare con il loro capo, chiedendo di potere acquistare i loro diamanti in cambio di alcool e armi da fuoco. La trattativa non ha avuto successo. Io e i miei uomini siamo stati catturati, e dovevamo essere sacrificati a non so quale divinità. La notte prima del sacrificio, tuttavia, sono riuscito a fuggire dalle grinfie di quei selvaggi. Da allora sono cinque giorni che vago per la foresta. Mi sono perso, non ho idea di che fine abbiano fatto gli uomini che mi accompagnavano, ma soprattutto sono vari giorni che mi sembra di scorgere in lontananza, di tanto in tanto, un gigantesco negro che mi segue, con lo sguardo assente. Non sembra essere vivo, ma neanche morto. Non ha la velocità di un normale essere umano, ma ha l'aria di essere implacabile. Sento che mi seguirebbe anche in capo al mondo."

Kane annuì, cupo come suo solito.

"Non sono cose di cui è bene parlare nella notte. Domattina partiremo all'alba. Ti condurrò in un porto da dove potrai tornare in Europa."

 

Il mattino dopo, al levare dei primi raggi di sole, si misero in marcia. Kane non aveva voglia di parlare con Sidney, il quale sembrava d'altro canto troppo spaventato per permettersi una qualunque forma di distrazione.

Marciarono fino a sera, quando si fermarono in una radura. Stavano mangiando, quando Kane d'improvviso si zittì, alzò la testa e disse, semplicemente:

"Sta arrivando".

Prese la spada e il bastone intagliato, e svanì in un solo balzo nella foresta, lasciando Sidney da solo a tremare e piangere in silenzio.

Kane, invece, da solo stava molto bene. Avrebbe dovuto combattere, e preferiva avere lui l'iniziativa, oltre che non avere tra i piedi quel fastidioso mercante. Sentiva i passi del suo avversario avvicinarsi. Doveva essere piuttosto alto e pesante, ma non sembrava veloce. Di qualunque cosa si trattasse, non avrebbe avuto problemi ad abbatterlo, pensò.

La creatura sbucò dal fogliame all'improvviso, sorprendendo lo spadaccino. Si trattava di un gigantesco essere umano, alto almeno due metri e mezzo, dal fisico imponente rivestito di una luccicante pelle bruna. Portava una corta tunica senza maniche e grandi anelli d'oro ai lobi. Il suo sguardo era spento, come se gli occhi fossero velati, e dava un'impressione di ottusità. Per un istante, Kane rimase senza fiato. In quell'istante, il mostro lo fissò con i suoi occhi ebeti, poi distolse lo sguardo e fece per andare avanti, cercando di evitare lo spadaccino. Aveva una mano, la sinistra, chiusa a pugno, come se stringesse qualcosa.

Kane gli si parò davanti. Il gigante si fermò e lo colpì con uno schiaffo, facendolo volare contro il tronco di un albero. Intontito, Kane si rialzò e, stringendo il feticcio ju-ju con entrambe le mani, si avventò contro il suo avversario, menandogli un terribile colpo alla nuca. Si udì risuonare per tutta la foresta un orrbile rumore di ossa infrante.

 

Erano passati appena un paio di minuti, quando Kane si presentò davanti a Sidney. Sul palmo della mano destra, teneva una specie di bambolina di stoffa. La porse al mercante, facendogli cenno di prenderla. Come Sidney ebbe in mano il pupazzo, Kane gli afferrò la mano e gliela strinse attorno al dono.

"Ah! Mi ha punto, ma cosa?"

Kane sorrise, o forse più correttamente scoprì i denti in una sorta di ghigno:

"Vedi, questo bastone ha più di una proprietà, molte delle quali nessuno conosce e probabilmente mai le conoscerà. Quando ho colpito il tuo inseguitore con questo, ho appreso molte cose...

Ho visto i tuoi uomini che massacravano i Kachoonga, ti ho visto impossessarti con loro dei diamanti... ho visto Matumbo morente lanciare un ultimo incantesimo su di te e sui tuoi complici. Deve essere stato orribile per te vedere i tuoi diamanti che diventavano cenere davanti ai tuoi occhi, e i tuoi compagni ammazzarsi l'uno con l'altro. Ti sei chiesto perché tu sei rimasto in vita? Quello che ho ucciso era un Gongoro, un portatore di maledizioni. Avevi ragione, ti avrebbe seguito in capo al mondo, per decenni, per consegnarti quel bambolotto. L'ago con cui ti sei punto ti ha inoculato il veleno di una maledizione. Non so di che cosa si tratti. E non voglio saperlo. Le nostre strade si dividono qui. Addio, Sidney"

Dette queste parole, Kane diede le spalle all'incredulo inglese, che ancora si guardava la mano ferita e il grezzo bambolotto che lo aveva condannato. Poi Sidney ebbe un ultimo scatto d'ira, e afferrò il machete. Lo sollevò, pronto a colpire Kane.

Quando Kane si voltò per trafiggere con la spada l'assalitore, a terra c'era un machete, di fianco a un diamante grosso come un pugno. Scalciò via il diamante e andò a cercarsi un rifugio per la notte.

 

NOTE

 

Racconto "leggero" e africano, ispirato (ehm) da un'invenzione di Carl Barks, il Gongoro appunto, maledizione che Zio Paperone si ritrova tra capo e collo per l'unica azione malvagia da lui mai commessa (sterminio di una tribù africana per mettere le mani su di una piantagione di chiodi di garofano), ma che ovviamente va a danneggiare Paperino. La maledizione barksiana consiste nel rimpicciolimento fino alla scomparsa, per la cronaca.

I nomi che compaiono nella storia sono presi dalla versione della storia raccontata da Don Rosa nella sua Saga di Zio Paperone (ovviamente Sidney è l'anagramma di Disney, come in "I conigli rosa uccidono", indimenticabile storia di Dylan Dog).

Assieme a Goru, è il racconto di Solomon Kane che mi ha richiesto minor tempo per ideazione e scrittura (e chi se ne frega?).